venerdì 17 febbraio 2012

Cineserie e varie superficialità

Chinatown, Milano
V1MB, dopo questo tuo post mi confesso. Ebbene sì, sono una rimasticona dell'esotico, traviso e tradisco.
Non porto rispetto, ma lo piego alle esigenze del momento, a mio uso e consumo.
Resto spesso sulla superficie della realtà, non sono predisposta alla ricostruzione filologica delle fonti e al rigore. Vedo già nasi che si storcono.
A mia discolpa, prometto: quella superficie intendo percorrerla ad ampio raggio, cercare i confini slabbrati e scovare i rimescolamenti, l'impatto che hanno sulle persone, sui luoghi.
C'è così tanto da vedere e sperimentare, il mondo è così grande: proprio non posso controllare tutto, arrivare preparata su tutto. Ed è così che colgo quello che mi viene incontro, procedendo per intuizione, aspetti pittoreschi, associazioni.
E provo.
Soprattutto provo, che certe cose non si capiscono finché non ci si mette in gioco - ora lo sai anche tu...
Prendi la mia propensione per le discipline orientali, ad esempio.
Lo yoga. Mi piace tantissimo leggere Ylenia, ma poi ho bisogno di pratica (bellissima parola dai mille significati) per capire. Ho bisogno di una lezione, di una classe, della voce di un maestro. Lì in mezzo sono in un gruppo e allo stesso tempo sono sola, con la testa la colonna vertebrale la pancia e il respiro. Questo è per me lo yoga: un'esperienza coinvolgente, mentale e fisica insieme, nella totale ignoranza di Chakra e Veda (Ylenia, tappati le orecchie). Questi concetti non li sento miei, il fascino dell'India mi è lontano, mentre il respiro che si fa calmo e mi percorre è un'esperienza importante, che ha un senso per me.
Ed ancora. Cosa ho preso dal tai chi? ho colto, oltre alla pratica fisica, l'idea di Yin e Yang come opposti dinamici, li ho fatti miei - appiattendoli e giocandoci - come lettura semplificata del mondo, poi tradotta per burla in una rubrica del non.blog. Mi rendo però ben conto che quello che arriva in occidente ha un percorso tortuoso, è solo l'apice folkloristico di una lunghissima storia. Ecco, io lì mi fermo e cambio strada, di associazione in associazione sono già ad esplorare altro... sono una viaggiatrice frettolosa, tutta nel presente.

Pelli di serpente a Chinatown, New York
Non cerco la Cina, cerco le cineserie, la paccottiglia, cerco tutte le Chinatown del mondo.
Cerco il global, che poi non è mai global del tutto perché si innesta in un tessuto preesistente.
I fighi lo chiamano glocal. Mio marito la chiama "la passione per il mercatino delle spezie" e ride.
Un atteggiamento consumistico, da turista insomma, pur consapevole degli aspetti deleteri e degli inarrestabili processi di appiattimento che questo approccio comporta.
Tuttavia, anche nella banalizzazione della quotidianità omologata, ci sono persone che si barcamenano e storie da raccontare. Storie che, proprio per questa dimensione di normalità, sento molto simili alla mia. La scoperta reciproca parte da lì, dal minimo comun denominatore.
Ed è paradossale, proprio su queste basi mi sento più viaggiatrice nella mia città che nel resto del mondo.
chiacchiere al ristorante cinese, Milano
Evviva dunque le commistioni POP: basta un giro in via Paolo Sarpi o la musica o qualche fumettistico appunto di viaggio...
Suoni, odori e immagini come echi risonanti di ciò che si è già vissuto: tutto questo mi conforta, mi fa sentire a mio agio, mi fornisce la sicurezza per mescolarmi io stessa e sperimentare, nel conosciuto, il nuovo. E tornare cambiata.

SDD

5 commenti:

  1. un post travolgente ..per i pensieri che mi hanno portato di qua e di la tra oriente e occidente...Anche io ho un approccio emotivo alle novità, sono curiosa e aperta.non ho la forma mentis della formica, ...ma è così bello assaggiare tanti sapori diversi ..si mi sento cicala, una cicala felice.

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  2. Quello che dici lo sento molto mio. Un "mio" che prima era di mio padre. Il raccogliere pezzetti e chincaglierie da tutto senza andare per forza in verticale, ma anche solo in orizzontale.
    Superficialità? Io me lo sono chiesto più volte, ma guardando alla sua vita ormai chiusa e a quello che mi ha lasciato mi assolvo.

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    1. è che io da tempo ho rinunciato al controllo. non so, poi magari un giorno ci riprovo. ma oggi no, non ci riesco...

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  3. Capisco, capisco molto bene.
    A me capita lo stesso in ogni città (tranne la mia, eppure iniziano ad esserci tante botteghe etniche anche qui, ma lo sento come "violare le regole del gioco").
    Quando lavoravo a Mi mi ero fatta il corredino giapponese in un negozio davanti a un cliente che chiudeva e certi tesori non si potevano lasciare lì erano oggetti così belli, così pieni di mondo. Non sono (ancora) andata in Giappone, ma quando mangio con quelle elegantissime bacchette nere è come se viaggiassi, sia nel tempo, ricordando quel giorno di molti anni fa ormai, sia nello spazio, ricordando alcuni pasti in oriente...

    Tu impazziresti a Singapore, che per molti versi è un grande spaccio di chincaglierie di molti mondi.

    ciao

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